OMAGGIO ALLA GHIOTTA DI PESCESTOCCO
Invita gli amici ad una ghiotta di pescestocco, in
pochi ti diranno “No, grazie”.
TUTTAVIA: mai due volte lo stesso! Ma cosa cambia? Cambia
il modo di sentire di chi si mette ai fornelli, di chi prepara la base, di chi
poi baderà al fuoco, ai tempi di cottura, all’acqua di copertura, alla quntità
di estratto e di passata, al sale, al pepe. E le patate? Erano farinose? Croccanti?
Fritte abbastanza da non disfarsi in cottura provocando una fanghiglia
disgustosa? E il pescestocco? Era di buona qualità? Era ammollato al punto
giusto? Abbiamo chiesto la parte più adatta per la ghiotta? Probabilmente in
trattoria è tutto codificato, ma in casa ci si rifiuta di mettersi delle regole
stringenti. E così il pescestocco potrà risultare leggero, rosè, salsato,
piccante, senza mordente, salato o insipido, oppure perfetto e gustosissimo:
insomma, diverso dall’ultima volta. Si sbaglia sempre qualcosa, si eccede o si
è troppo parchi. E per tutto questo non c’è ricetta che possa aiutare il cuciniere.
Molto dipende dall’esperienza, come salare, pepare eccetera. Per quanto
riguarda l’olio esso rappresenta un problema solo se è poco perché non si
combina bene e a sufficienza col pomodoro, ma se è tanto va bene lo stesso,
basta metterne meno nel piatto.
Io qui inserisco la mia ricetta, ma non mi soffermo
sui particolari di cucina ai quali penserà chi con la dovuta esperienza si
mette ai fornelli. Piuttosto suggerisco di preparare tutto il necessario per
evitare di dover correre e fare in fretta nelle varie fasi di cottura, magari
col rischio di dimenticare qualcosa.
Io per la ghiotta preferisco sempre la parte inferiore
del pesce, che va dall’ombellico alla coda. E ciò perché permette una cottura
più veloce e non rischia di apparire troppo pesante alla masticazione; tra
l’altro si insaporisce meglio e prima.
Comincio il tutto col pelare le patate, tagliarle a
grossi pezzi e metterle in ammollo in acqua. Quindi lavo i vari pezzi di pesce
e li metto a scolare in uno scolapasta. Ora passo al trito che formerà la base
del sapore. Servono: cipolla, sedano, prezzemolo olive e capperi, tritati per
benino con la mezzaluna o col coltello; c’è chi aggiunge anche pinoli e uva
passa. Tritato il singolo componente lo ripongo nella pentola. Quando tutto è
in pentola aggiungo olio abbondante, mescolo bene e metto il tutto da parte. Sulla tavola
devono trovare intanto posto sia l’estratto che la passata.
Passo ora alla frittura delle patate; questa serve per
dare alla superficie del tubero una certa resistenza ed evitare che si disfi in
cottura. La frittura non deve essere spinta fino al croccante, ma basta una
patina esterna (5-6 minuti potrebbero essere sufficienti). Tolte le patate
dalla padella e riposte in una delle ciotole disponibili (è sempre meglio averne
tante a disposizione), uso lo stesso olio, che deve essere rigorosamente extravergine
d’oliva, per crepare il pescestocco. Questa pratica serve a far sì che il pesce
si apra e permetta al sugo di accedervi comodamente. Bastano pochi istanti per
ossservarne l’effetto: il pesce si torce e si apre. Anche questo, pezzo per
pezzo, va riposto in una ciotola in attesta di essere protagonista.
Ora tutto è pronto per procedere.
La gande pentola contenente olio e trito va posta
finalmente sul fuoco, abbastanza allegro in questa fase perché il trito
soffrigga bene. È bene girare spesso con un banale arnese da cucina perché
i sapori si compensino. Quando la cottura sembra a buon punto, aggiungere il
concentrato, abbondante, che va aiutato con mezzo bicchiere d’acqua. Naturalmente
mescolare è necessario per far sciogliere bene il concentrato e fare apparire
il tutto omogeneo. Quindi si dispongono i pezzi di pescestocco in modo da
sovrapporli il meno o il meglio possibile. Ora si copre il tutto con la passata di
pomodoro. Quanta? A seconda della quantità di pesce, comunque mai meno di
500-700 grammi. Sulla scelta della passata non metto lingua: essa può essere
più o meno densa ed avere un effetto diverso in cottura. Poi si dispongono le
patate, si sala e si pepa e il tutto si ricopre con acqua, senza esagerare. Ed
ecco che si passa alla cottura. Vi sono poche regole empiriche che i temerari
cuochi conoscono benissimo. Nella prima fase la pentola va coperta e il fuoco
deve essere allegro, per permettere che il tutto vada in bollitura e stronchi
la resistenza del pesce; poi, dopo una mezzoretta, il fuoco va ridotto di molto
e il coperchio leggermente discosto, magari mettendoci sotto un cucchiaio di
legno. In tutte le fasi e in tempi piuttosto ravvicinati, la pentola va scossa
in modo da far salire in supeficie l’olio e gli elementi del trito. Mai usare
arnesi per girare il pesce, perché già dopo pochi minuti la sua consistenza
diventa critica e i pezzi si possono disfare.
Un buon cuoco
sa come saggiare la cottura, e come aggiustare il tutto con sale e pepe, ma se
ha esperienza può agire anche su altre mancanze. Sull’eccessivo invece c’è poco
da fare.
I tempi? Se il
pesce è ammollato bene e la parte è quella che ho descritto, un’ora e mezza in
tutto potrebbe essere il tempo giusto, altrimenti si dovrà prolungare la
cottura, magari aggiungendo un po’ d’acqua parsimoniosmente, ma sempre con
fuoco molto basso (una volta si diceva “una lampa”). Tuttavia gusto e
consistenza sono cose che si percepiscono solo con l’assaggio.
Alcune regole
del buongustaio:
1) La ghiotta
va preparata la mattina per la sera, se non addirittura per il giorno
successivo.
2)Attendere che
la pentola sia stata vuotata della parte più cospicua della sostanza per
interrogare i commensali circa l’opportunità di mettere su l’acqua per la
pasta; e questo perché la parte finale è ricca di tutti gli ingredienti e
pertanto molto saporita. Se si sceglie infatti di rubare un po’ di condimento
dalla pentola piena, si rischia di condire la pasta con il solo olio di cottura.
3)Congelare il
più presto possibile i resti, se consistenti, per evitare che l’odore rimanga
in casa a lungo.
4)Quando si
apre il contenitore dove si è congelato il pescestocco, conviene farlo in luogo
aperto.
Tutto il resto,
per fortuna, è soggettivo.
Si
dice e si crede che il pescestocco e il baccalà siano il risultato del
trattamento del Merluzzo. Questo è vero, se si precisa che si tratta del Merluzzo
atlantico, che non ha nulla a che vedere con il nstro Nasello. È un pesce molto
grosso che può arrivare a pesare trenta chili e più. Il suo nome scientifico è Gadus
morhua.
Tono 09-09-2018
Walter Preitano
Che meraviglia!👏🏻👏🏻👏🏻
RispondiEliminaRileggendo me ne viene una gran voglia. Mancano solo gli amici, i veri appassionati. Fatevi presenti e chiedete con veemenza. Voi siete della serie "Chiedete e vi sarà dato!". Un abbraccione.
RispondiElimina